Fare ponti

Quando parliamo di comunicazione, parliamo di un’attività indispensabile per qualsiasi livello di sviluppo sociale. Secondo l’antico e nobile assioma per il quale “non si può non comunicare”, le attività comunicative sono imprescindibili dalla nostra volontà, e necessarie in ogni momento della nostra esistenza per la regolazione delle attività sociali, fisiche, culturali. In questo senso, la cultura è comunicazione e la comunicazione è cultura: poiché la cultura sopravvive se è comunicata (al proprio gruppo culturale e al pubblico, nonchè nella dimensione privata) e si trasmette attraverso pratiche comunicative tra gli attori sociali. Dunque, la comunicazione è in qualche modo cultura, poiché la cultura no può vivere senza essere comunicata e trasmessa, e proprio all’interno di questo processo si viene continuamente a ridefinire. 
La comunicazione interculturale ha un ruolo centrale nell’era contemporanea, soprattutto rispetto a due fenomeni oggi centrali:
l’utilizzo pervasivo dei social network;
la compresenza di differenti gruppi etnici, linguistici e sociali nello stesso spazio fisico: il multiculturalismo.
La comunicazione è inevitabile. Ogni individuo possiede una propria prospettiva sul mondo, costruita a partire dalle proprie caratteristiche, esperienze, relazioni e influenze, ed altrettanto inevitabilmente individui diversi si relazionano tra loro. Lo scarto fra prospettive diverse si traduce in un necessario margine di opacità dell’altro, che viene amplificato (e radicalizzato nella sua potenziale conflittualità) anche dalla sua appartenenza a un’altra cultura. Il mondo contemporaneo registra, fra gli effetti del processo di globalizzazione, la produzione di una sempre maggiore contiguità (fisica o mediata) fra culture diverse (prossimità a distanza). La comunicazione (già di per sé inevitabile) assume pertanto necessariamente carattere interculturale.