Bibbia Traduzione Letterale: Geremia Bibbia Traduzione Letterale: Geremia
Bibbia, traduzione letterale

Bibbia Traduzione Letterale: Geremia

La Bibbia come non la avete mai letta

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Descripción editorial

Caso quasi unico nella letteratura mondiale, la Bibbia non è mai riuscita a separare la fase della traduzione da quella dell’interpretazione. Probabilmente per l’ambiguità e per la mutabilità del contenuto, da sempre i traduttori hanno provveduto a inserire la loro interpretazione del testo spacciandola per autentica, non disturbandosi di riportare le proprie scelte interpretative, ma piuttosto aggiungendo note che allontanano ancora di più il significato dal testo originale: è caratteristica in ambito cristiano l’iniezione di contenuti del nuovo testamento o addirittura di speculazioni teologiche successive come lo spirito santo o le profezie. In questa opera, seguendo l'ispirazione di Mauro Biglino, provvediamo invece a tradurre la Bibbia letteralmente. La regola generale per i termini non standard è che, ove una parola ebraica è presente in una singola istanza, oppure in parti diverse con significati diversi, o ancora nel caso che una qualsiasi traduzione potrebbe introdurre nel lettore un bias indesiderato, la decisione è quella di lasciare la parola in un originale fonetico in forma analoga alla versione di BibleHub, per uniformità. Questo è il caso ad esempio di: ‘ĕ·lō·hîm, Yah·weh, Šad·day, ‘El·yō·wn, Rū·aḥ, Kā·ḇō·wḏ, Mal·’aḵ.

Le persone di nomi, aggettivi e verbi seguono scrupolosamente l’originale ebraico, anche riguardo termini controversi come ‘ĕ·lō·hîm, Šad·day, ’Êl, senza risolvere arbitrariamente le contraddizioni. Il genere degli articoli e aggettivi resi in ebraico viene associato al genere del termine ebraico, e non a quello di una delle traduzioni in italiano; questo può naturalmente portare a ulteriori discrepanze del testo rispetto le traduzioni clericali. Nel caso particolare di ‘ĕ·lō·hîm, quando preceduto da articolo determinativo, si è deciso di renderlo sempre come ‘gli ‘ĕ·lō·hîm’, anche quando il termine regge un verbo al singolare. La soluzione appare quasi altrettanto insoddisfacente quanto coniugare l’articolo col verbo, per usare l’aggettivo singolare solo con il verbo al singolare, es. ‘l’‘ĕ·lō·hîm’, e in tutti gli alti casi al plurale, es. gli ‘ĕ·lō·hîm’, ma riteniamo la forma uniforme decisa essere preferibile dal punto di vista della leggibilità e dell’obiettività.

Subito a Geremia 1: 16 si fa chiarezza sul concetto di male per Yah·weh, o per chi parla a suo nome, che non ha nulla a che fare con qualsivoglia principio etico, ma riguarda esclusivamente l’abbandonare lui per seguire altri ‘ĕ·lō·hîm!

Come si vedrà a Geremia 39: 11-14 il 'noi' di Geremia 4: 8 è assai ipocrita, visto che è al soldo di Nabuconodosor e non avrà quindi nulla da temere né da lui, che anzi lo ricompenserà, né tanto meno da Yah·weh, che si potrebbe risentire per essere millantata la sua azione, solo se esistesse al di fuori delle sue parole.

Geremia 4: 16 sembra la classica accusatio non paetita per sviare l'accusa di essere lui stesso, all'interno del popolo, una spia o meglio, più propriamente, un traditore.

È fortunato il nostro a Geremia 5: 22 che nel mediterraneo non si verifichino tsunami; altrimenti hai voglia che il mare supera i suoi confini. Ovviamente se fosse verificato e avesse coinvolto un manipolo di nemici avrebbero gridato al miracolo e ringraziato comunque Yah·weh per quello.

A Geremia 7: 18 appare il suggestivo riferimento alla Regina dei Cieli, leggendo la quale il monoteista cristiano è portato a pensare sia una profezia per la madonna, per quanto sia criticato il suo culto, che riceverà nel futuro lo stesso appellativo, tuttavia qui si parla piuttosto di ‘Aš·tō·reṯ.

Yah·weh col naso lungo come Pinocchio a Geremia 7: 22 quando dichiara che non ha mai dato disposizioni sugli olocausti e i sacrifici, visto che gran parte del Levitico, dei Numeri, oltre alla rievocazione del Deutoronomio sono dedicati proprio alle disposizioni precise riguardo gli olocausti e i sacrifici regolari, perché Yah·weh potesse odorare il “soave profumo” di grasso bruciato!

In Geremia 7: 31 è presente una nuova scusatio non paetita, visto che i primogeniti che Yah·weh si faceva dare, tra tutti gli animali e i figli stessi degli Israeliti, non si sa che fine avessero fatto, considerando che non si sono mai visti tornare indietro e come egli apprezzasse il grasso bruciato!

Il verso Geremia 8: 23 è in realtà il primo verso del capitolo successivo nelle versioni ebraiche ed evangeliche.

Sembra una critica per gli idoli di pietra il fatto che non possano fare né bene, né male in Geremia 10: 5, ma sembrerebbe andare ai loro seguaci di lusso rispetto le violenze poco dopo e nel resto del testo precedente attribuite a Yah·weh in confronto ai suoi di seguaci…!

Da notare poi la curiosa critica rispetto questi lavori, perché non possono camminare, quasi Yah·weh invece si facesse passeggiate mattutine regolari!

A Geremia 10: 18 si afferma un curioso principio, che occorra affliggere la gente per fasi cercare, piuttosto che essere gentile con lei come sarebbe senso comune, almeno indoeuropeo.

La citazione a Geremia 10: 11 è curiosamente in Aramaico.

Geremia 10: 25 è interessante per due ordini di motivi: il primo, evidente, e abbastanza umano, è la richiesta a Yah·weh di prendersela con gli altri, piuttosto che con se stesso, se se la deve prendere con qualcuno; il secondo è più interessante in quanto fa riferimento ai supposti soprusi subiti da Giacobbe, uno dei personaggi più infidi e perfidi della letteratura mondiale, di cui la Bibbia parla solo di soprusi e inganni fatti da lui, tanto ai suoi parenti che ai benefattori, e mai di subiti.

Probabilmente nessuno si cura di verificare le profezie, sempre nella forma di maledizioni contro i suoi nemici - mai che Geremia preveda qualche cosa di positivo - anche volendo interpretare l’aiuto di Yah·weh come grave malattia o caduta da cavallo del nemico, visto che di persona non si è più rivelato dopo il Pentateuco nonostante le invocazioni, in quanto a Geremia 11: 23 questi ne lancia una contro la gente di Anatòt che in nessuna parte della Bibbia viene detto essere colpita da alcunché; anzi viene regolarmente annoverata nell’armata di Yiś·rā·’êl.

Banale espediente quello usato da Geremia a Geremia 14: 14 per delegittimare la classe dominante sostenendo che sia stato Yah·weh stesso a dire che non parla a suo nome. Chiarisce anche il rischio connesso a basare il proprio potere sulla pretesa di rappresentare o parlare a nome del divino, visto che uscirà sempre qualcuno che, per i suoi personali interessi, dirà di essere lui a rappresentare o parlare per il divino e a darvi del bugiardo, se si sbaglia la previsione o non si prevedono i piani dell'oppositore - in questo caso il fatto che Geremia sia al soldo dei Babilonesi con l'obiettivo di indebolire il morale dei territori che ha l'interesse ad invadere.

Non è un caso che il Buddha abbia sconsigliato di credere a divinità, saggi, libri antichi o altro proprio per prevenire dissidi con chi abbia la credenza opposta.

Interessante a Geremia 14: 15-16 l’osservazione che per essere buoni nā·ḇî·îm occorra parlare di disgrazie; se invece si parla di salvezza ecco che incombe la punizione di Yah·weh; non si sa se questa osservazione sia causa o conseguenza del carattere menagramo di tutto il libro e del testo biblico in generale, ma certamente ci si accorda.

Geremia 14: 22 è alquanto comico, mettendo in ridicolo il fatto che i cieli possano piovere, senza un intervento soprannaturale specifico! Infatti sembra che Geremia magnifichi Yah·weh in confronto agli altri ‘ĕ·lō·hîm per il fatto di essere capace di far piovere, a differenza di loro.

A Geremia 16: 13 un'interessante ammissione attribuita a Yah·weh, quando minaccia gli Israeliti di farli loro servire altri ‘ĕ·lō·hîm, escludendo con ciò il fatto che possano essere idoli di pietra e frutto della mano dell’uomo, come detto altrove e in qualche modo assimilandoli a lui. Comica peraltro la punizione per aver seguito altri ‘ĕ·lō·hîm il fatto di dover seguire altri ‘ĕ·lō·hîm! Come sarebbe non far entrare a scuola qualcuno che non ci vuole andare. Peraltro un fenomeno simile è stato ripreso recentemente in psicologia con il fenomeno dell'ingiunzione paradossale e della prescrizione del sintomo.

A Geremia 16: 21 un esempio dove la traduzione monoteista per Yah·weh come Signore mostra la corda, quando si riporta l’enfatica di dichiarazione in cui questi afferma che il suo nome è Signore, ove l’ebraico riporta il molto più ragionevole nome personale.

A Geremia 17: 21 si ha una risposta al motivo per il quale i contemporanei ce l’avessero con Geremia; potrà pure non essere ascoltato, ma gente che ti maledice di continuo non penso faccia molto piacere ad alcuno.

L'ipocrisia di Geremia a Geremia 18: 20 sfugge solo a chi non abbia letto quanto riportato precedentemente. Che non ci creda nemmeno lui è testimoniato dal fatto che ricomincia a maledire gli Israeliti subito dopo.

Di nuovo a Geremia 19: 9 si parla di punire gli Israeliti facendoli mangiare i loro figli e figlie per aver suppostamente bruciato i loro figli e figlie! Praticamente assai gramo il loro destino comunque vada…!

A Geremia 19: 14 si colloca un aspetto che trovo di una comicità di tipo inglese. Per tutto il resto del capitolo ha mandato maledizioni a tutti e a tutto, e ci si sarebbe aspettati che tornando al suo paese avesse trovato gli effetti nefasti delle sue maledizioni, con case bruciate, cadaveri in giro in pasto agli animali selvatici e tutto quanto aveva ardentemente augurato, invece il culmine del capitolo è che ripete le sue maledizioni anche nel tempio di Yah·weh! Dove peraltro questi ovviamente non è presente, altrimenti ci parlerebbe direttamente, invece di parlare a suo nome.

Finalmente a Geremia 20: 4 il traditore Geremia illustra il suo piano originale: quello di consegnare il popolo demoralizzato di Giuda nelle mani del re di Babilonia, così che non combatta per difendersi. Non diversamente hanno fatto gli Americani nello sbarco in Sicilia reclutando la Mafia.

Si può dire che in Geremia 20: 14 e segg. il nā·ḇî abbia decisamente perso la pazienza, vedendo l’inevitabile latitanza di Yah·weh (o dei Babilonesi al suo soccorso), problema comune a tutti quanti si affidino a lui, se si eccettuano naturalmente eventi casuali positivi o negativi interpretati come un suo favore o sfavore, come si fa ancora oggi. Oppure banalmente è parte della commedia che sta recitando.

Non si comprende a Geremia 21: 2 se il re abbia mangiato la foglia rispetto il tradimento di Geremia e voglia metterlo alle strette per costringerlo a tradirsi, oppure volontariamente si getti nelle sue fauci nell'ingenua illusione che davvero parli a nome di Yah·weh e possa quindi indurlo a desistere dai suoi propositi, oppure una pericolosissima mistura di questi due intendimenti.

Qualsiasi fosse il proposito del re Sedecia, Geremia a Geremia 21: 6 rincara la dose, probabilmente avendo ricevuto rassicurazioni segrete dai Babilonesi di essere liberato se incarcerato e nella convinzione di non essere ucciso per la sua condizione elevata e per il dubbio persistente che possa infine far cambiare idea a Yah·weh. In ciò aggiungendo anche la peste e la carestia, che male non fanno per demoralizzare ulteriormente il popolo e che del resto spesso si accompagnano a una guerra!

Preso evidentemente coraggio Geremia a Geremia 21: 9 lancia il suo ultimatum, probabilmente leggendo letteralmente quanto inviato a lui in segreto dai Babilonesi per indurre quanto più del popolo a disertare e non combattere contro gli invasori.

Andata bene con i Babilonesi, in Geremia 21: 14 questi ci riprova con gli incendi boschivi, altro evento ovviamente abbastanza frequente in quei tempi, aspettando pazientemente che se ne verifichi per poter cantar vittoria: ovviamente la patente che si darebbe oggigiorno a tale comportamento sarebbe quella di menagramo, ma Geremia figura piuttosto tra i grandi profeti delle tradizioni monoteiste. Un nuovo punto che dovrebbe dare da pensare.

Dopo il lungo panegirico Geremia torna a Geremia 22: 25 al suo obiettivo originale, Babilonia e i Caldei, tanto da cercare dissimulare per chi effettivamente lavora. A giudicare dal rispetto che Geremia riceve nelle tre tradizioni monoteiste, possiamo dire che ci sia riuscito brillantemente!


Curioso Geremia 23: 18 quando contesta il fatto che qualcuno possa parlare a nome di Yah·weh, mentre lo sta facendo egli stesso!

A Geremia 23: 33 e segg. ricompare la curiosa parola polisemica maś·śā che diventa ancora più misteriosa come usata in questo capitolo. Il traduttore monoteista si tappa il naso e traduce consistentemente con ‘carico’.

Curiosamente nessuno sembra notare a Geremia 24: 3 come Geremia sia l'unico a non essere stato deportato, tanto da poter fare la sua bella classificazione arbitraria, a meno che questi abbia un'influenza maggiore sul re di Babilonia di quanto il vostro umile traduttore ritenga, tra chi forse ritornerà e chi invece morirà a Babilonia.

Siamo lasciati a domandarci a Geremia 24: 8 quali siano i fichi buoni; visto che sembra aver elencato tutti tra i fichi cattivi che subiranno i peggiori malanni.

Interessanti i 70 anni indicati da Geremia 25: 11 come fine del dominio di Babilonia. In un senso prevede per quel tempo di essere morto e quindi di non subire le conseguenze di una previsione sballata, per un altro è assai difficile che un qualsiasi regno duri così a lungo e quindi un modo di soddisfare la profezia di certo sarà trovato.

Geremia usa il termine ‘ō·w·lām piuttosto liberamente: a Geremia 25: 12 dice che Babilonia sarà una desolazione ‘ō·w·lām, ma poco prima aveva detto che sarebbe stata la terra di Giuda una desolazione ‘ō·w·lām.

A meno che sia intesa come la banale constatazione che ogni regno è destinato prima a poi a finire, Geremia 25: 17, se preso letteralmente presupporrebbe che Geremia se ne sia decisamente passato, millantando la devastazione di tutto il mondo conosciuto su sua diretta azione.

L'ipocrisia di Geremia a Geremia 26: 15 è del tutto straordinaria. A parte che dice che saranno distrutte le città e tutto il resto, se lo uccideranno, quando aveva detto lo stesso prima e per quello avevano minacciato di ucciderlo! Ma occorre ricordare che non è Yah·weh a suggerirgli di parlare così, ma i Babilonesi per demoralizzare il popolo di Giuda con lo scopo di sconfiggerlo senza rischi.

Troviamo a Geremia 26: 24 un altro membro della congiura antisemitica per favorire il massacro di Giuda da parte dei Babilonesi.

Appare evidente a Geremia 27: 6 come, a fianco di un blando incoraggiamento sulla popolazione per condurla in guerra con coraggio, il rischio maggiormente evidente di mettere la propria vita in mano al soprannaturale è quello, nella migliore delle ipotesi, di affidarla al caso, e nel peggiore a traditori senza scrupoli come appunto Geremia, solo tra i primi dei falsi profeti che si sono avvicendati nella storia per ridurla in miseria (assumendo che ce ne siano di veri, cosa del tutto discutibile).

La promessa di Geremia 27: 11 è naturalmente del tutto infondata, come ovviamente si vede a 2 Cronache 36: 20, non senza anche prima essersi impadronito il re di Babilonia del tesoro di Giuda.

Geremia 27: 16 è interessante per due ordini di motivi: il primo è che si chiarisce come già Nabuconosor abbia "visitato" Giuda per depredare il tesoro della casa di Yah·weh per portarlo a Babilonia, senza che questi abbia avuto nulla da dire; la seconda è che ora persino la speranza che prima o poi tale tesoro torni a Giuda viene considerato una menzogna. La pratica ricorda assai da vicino quella della rana bollita per far accettare al popolo di Giuda la sua distruzione senza protestare.

Con Geremia 27: 18 arriviamo all'assurdo. Addirittura addebita agli altri la responsabilità di non far portare via ciò che è rimasto del tesoro di Giuda, in pratica facendolo consegnare a Babilonia quasi entusiasticamente. Certo Geremia è particolarmente abile nell'arte della manipolazione, ma gli altri danno l'impressione di non essere particolarmente svegli.

Quello che è certo della previsione di Geremia a Geremia 27: 22 è che sarà depredato tutto il tesoro di Giuda con la conseguente distruzione dello stato, incerto invece è che sia riportato indietro da Yah·weh, cosa che gli ebrei stanno evidentemente ancora aspettando!

Anania cade mani e piedi nella trappola di Geremia, rendendosi più realista del re per spingersi persino a indicare una data per l'improbabile ritorno dei deportati e del tesoro di Giuda. Come si vede a Geremia 28: 5 prima Geremia infidamente l'incoraggia, successivamente vilmente lo sbugiarda.

Addirittura Geremia a Geremia 28: 7-9 arriva a dire che Yah·weh favorisca chi parla di pace, quando lui stesso ha per tutto il libro previsto disgrazie di tutti i tipi.


E a Geremia 28: 15-17 Geremia dà il suo colpo di grazia fino a pronosticare la morte di chi poco prima aveva esaltato; il testo dice semplicemente che Anania è morto nello stesso anno, quindi non sappiamo se sia intervenuto qualche sicario ossequiante a eseguire la sentenza!

Diciamo che la profezia a Geremia 29: 10 possa essere considerata realizzata... con lo stato di Israele, se non fosse che sono passati 2500 anni, e non 70, e non li ha ricondotti là Yah·weh dai Babilonesi, quanto le potenze occidentali strappando il territorio dalle mani dei poveri Palestinesi che lo abitavano da millenni dopo che i Babilonesi erano belli che estinti, senza mai aver restituito i deportati e tantomeno il tesoro di Giuda e Gerusalemme. Ma sappiamo che sulle profezie della Bibbia ci si contenta facilmente, quindi ci si contenterà anche qui...!

Forse a Geremia 31: 9 il pretesto utilizzato da Gesù per far riferimento a Yah·weh come padre, così evitando di citarlo espressamente tanto nella forma letterale vietata, che come Adonai; così da evitare di portarsi dietro tutte le sue storie, ovviamente in diretto contrasto con quanto stava insegnando, lo avesse appreso dal Buddha o elaborato autonomamente.

A Geremia 31: 22 una frase davvero criptica e del tutto avulsa dal contesto, quasi fosse stata inserita di proposito per farci trovare la profezia della Madonna ai teologi; tantopiù per lo scarso riguardo che le femmine hanno nel testo biblico.

A Geremia 31: 28, se ancora non fosse stato bene chiaro, si precisa come sia sempre Yah·weh a fare il male, e molto più occasionalmente bene in termini materiali, mai il povero śā·ṯān, tradotto più o meno propriamente.

Forse possiamo attribuire a Geremia l'invenzione della tecnica della supercazzola in Geremia 32: 6, resa celebre dal personaggio di Ugo Tognazzi nel film Amici Miei. In effetti come nel film ci si esprime con questa tecnica per rispondere beffardamente alla contestazioni di un vigile, qui si parte con la tecnica per non rispondere alle contestazioni del re sul boicottaggio messo in atto da Geremia in combutta coi Babilonesi.

Il lungo discorso di Geremia giunge alla sua conclusione a Geremia 32: 15 . In pratica dice che pure egli si è fidato a comprare un terreno in Giudea e avrebbe avuto poco senso farlo, se i Babilonesi fossero venuti  per rimanere. Ciò che resta nascosto è che questi ha un accordo segreto con i Babilonesi proprio per rimanere in Giudea, al contrario di tutti gli altri, e quindi il fatto che abbia acquistato un terreno dovrebbe essere di poca rassicurazione per gli altri, anche se il compenso promesso e poi dato a lui dai Babilonesi fosse inferiore al prezzo dell'appezzamento di terreno acquistato.

Purtroppo per Geremia il terreno lo ha già comprato, fidandosi delle sue parole, evidentemente avendolo ingannato vilmente, visto che l'argento si può trasportare, i terreni noi. Naturalmente tuttavia quanto detto a Geremia 32: 44 è frutto della fantasia di Geremia, per continuare a manipolare il popolo di Giuda, senza che Yah·weh abbia detto né una cosa, né il suo contrario.

Diciamo che Yah·weh, o Geremia che lo millanti, vada tanto sul sicuro a Geremia 34: 2 e succ. da maramaldeggiare! 

Diciamo a Geremia 34: 4 che, piuttosto di aver parlato Yah·weh, quella espressa da Geremia sia una concessione ottenuta da parte di Nabuconodosor per indurre il re ad arrendersi senza combattere. Vedremo se questi manterrà l'accordo.

A Geremia 34: 10-11 si ripete lo schema: si prende la violazione di uno dei numerosi “Comandamenti”, ben più dei dieci canonici, dati da Yah·weh, in questo caso la restituzione degli schiavi dopo sette anni, per addebitare a essi nuove distruzioni. Data la varietà delle disposizioni impartite, assai spesso contraddittorie, Geremia ha l’agio di attribuire qualsiasi distruzione imminente alla violazione del comandamento in quel momento secondo lui non rispettato. In questo caso si tratta delle finquà estremamente neglette istruzioni del Deutoronomio riguardo le restituzioni durante il Yō·w·bêl. In realtà non si parla in quell'occasione di un intervallo di 7 anni, ma di 50 e, chissà perché…? Nessuno si ricorda che riguardava soprattutto la restituzione dei terreni venduti ai precedenti proprietari!

Probabilmente il vitello tagliato in due citato in Geremia 34: 18 è una metafora per lo stato di Giuda in cui ci siano schiavisti e schiavi. Cosa che ovviamente mai ha turbato alcuno precedentemente, non avendo avuto evidentemente questi da individuare colpe con le quali giustificare sciagure, come qui, come al solito, Geremia per la distruzione da parte dei Babilonesi.

A Geremia 35: 16 si ripete lo schema della maledizione per favorire Babilonia solo leggermente variato e con una interessante curiosità. Questa volta il comandamento in oggetto è quello di non bere vino, di cui peraltro non si parla affatto tra gli ordini originali di Yah·weh, essendo le libagioni parte fondamentale delle offerte rituali, e di vivere come nomadi, ugualmente assente da essi, questa volta con lo schema del confronto: si prende una famiglia che lo rispetta e si mette a confronto con quanti non lo fanno; schema simile a quanto si fa ordinariamente in una classe scolastica, auspicabilmente con una sorte più benevola che tocchi ai cattivi di quanto prospettato da Geremia... La cosa ancora più interessante è che il precetto di non bere alcol e di vivere in forma ambulante è parte delle pratiche ascetiche di altre tradizioni: in particolare di quelle indoeuropee del continente Indiano, peraltro coeve; non si può quindi escludere un prestito da parte di tali culture per dare contenuto a questo capitolo, altrimenti ingiustificabile sul piano dello stretto contenuto biblico.

Immaginiamo il cordoglio di Geremia alla notizie dell'arrivo degli Egiziani a supporto di Giuda e contro i suoi alleati Caldei a Geremia 37: 5; tuttavia non si perde d'animo e riparte.

Geremia comincia evidentemente a perdere un poco della sua sicumera e manca poco a Geremia 37: 10 che evochi l'avvento di Zombi a distruggere Giuda!

In effetti si vede a Geremia 37: 12 come cerchi di mettersi in salvo fuori da Gerusalemme, avendo paura di non essere soccorso da Babilonia. Del resto anche il più religioso degli studiosi della Bibbia si dovrebbe domandare come mai, se Geremia avesse amato Giuda, se ne fosse dovuto andare all'arrivo di alleati.  Qui troverebbe probabilmente un'ottima occasione per avocare a sé il mistero!

Ieria, capo delle guardie, sembra essere il più saggio di tutti per capire a Geremia 37: 13 che Geremia abbia disertato per i Caldei, o almeno quello era il piano se non lo avessero fermato prima.

Ma il vero mistero è la ragione per la quale i re di Giuda insistano a interrogare Geremia, come a Geremia 37:, invece di assai più ragionevolmente ucciderlo come traditore.

L'ipocrisia di Geremia a Geremia 37: 18 è davvero sorprendente; questi si lancia in una autodifesa davvero allucinante: si domanda in che cosa abbia danneggiato il suo popolo per essersi semplicemente dedicato ad augurare la loro sconfitta, deportazione e massacro per tutto il tempo! Unica giustificazione il fatto che lo abbia fatto su suggerimento di Yah·weh. Si vede in effetti quali siano i rischi a tributare a qualche individuo il diritto di parlare a nome del divino.

Fa un certo effetto tradurre Geremia 38: 2, mentre quasi le stesse parole vengono rivolte dai Russi agli Ucraini per provare a demoralizzarli e convincerli ad arrendersi. Per chi leggerà sarà prevedibilmente tutto nel passato, chissà come?, ma fa un certo effetto udire gli stessi ultimata a millenni di distanza!

Straordinario come nelle contestazioni di Geremia 38: 4-5 né il re, né i principi comprendono che Geremia è al soldo dei Babilonesi, ma si preoccupano solo che vengano scoraggiati i soldati. Sembra come che in fondo non riescano a comprendere come qualcuno parli a nome di Yah·weh per i suoi interessi particolari.

Geremia 38: 9 è assai curioso: o si tratta di un refuso, oppure si dice allusivamente che comunque vada si morirà tutti di fame e quindi non avrebbe senso far morire prima Geremia - con ovviamente il tarlo mentale per cui, salvando un nā·ḇî, Yah·weh magari potrebbe impietosirsi e fermare i nemici. Ovviamente nessuno immagina che questi sia un infiltrato per Babilonia e che quindi non sarà per nulla così.

Il re Sedecia cade completamente nell'inganno di Geremia a Geremia 38: 16, addirittura ordendo una congiura con lui per tenere all'oscuro il resto della città dai suoi piani. Si vedrà al capitolo successivo la triste fine che subirà, a ovvia differenza di Geremia.

Vediamo a Geremia 39: 4 come il piano di demoralizzazione messo in atto metodicamente da Geremia abbia avuto successo, inducendo il re e i soldati a provare a fuggire, piuttosto di resistere all'invasione.

E naturalmente a Geremia 39: 11-14 Geremia viene ricompensato da Nabuconosor del tradimento fatto verso il popolo di Israele e di Giuda: del resto se Geremia e gli invasori non fossero stati in costante contatto, come avrebbero questi saputo del suo contributo come appare a Geremia 4: 2. Il redattore biblico non batte ciglio, attribuendo naturalmente tutto al favore di Yah·weh nei confronti di Geremia millantato da Geremia stesso, rifiutandosi di vedere la sostanza del tutto, probabilmente attribuendo il passaggio di informazioni a Yah·weh stesso, che si trasformerebbe in questa occorrenza in una sorte di postino.

A Geremia 39: 15-17 spunta anche una profezia, per così dire, ex-post; sebbene riportata alla fine, viene collocata quando ancora stava in prigione, magari due minuti prima che fosse liberato dai Babilonesi.
Geremia 40: 1 contraddice il capitolo precedente: in quel luogo si dice che Geremia era stato prelevato dalla prigione, qui dal mezzo dei deportati.

C'è da dire che in occasioni precedenti, quando i nemici hanno invocato la sconfitta del popolo d'Yiś·rā·’êl per le loro colpe a mano propria, i vari nā·ḇî·îm e kō·hă·nîm l'avevano presa malissimo, quasi le maledizioni su Yiś·rā·’êl le potessero mandare solo loro…, invece nell'occasione di Geremia 40: 3, Geremia non batte ciglio, anzi.

A Geremia 40: 5 si chiarisce la natura della corruzione quando, in aggiunta ad aver salva la vita e data la possibilità di vivere libero nel paese, il capo della guardie offre a Geremia persino una ricompensa per il suo tradimento.

Si vede a Geremia 40: 6 come Geremia voglia continuare ad applicare la sua influenza sul popolo, sotto l'egida di Babilonia. Ovviamente i Babilonesi sono ben felici di avere lui dalla loro parte per tenere buono il popolo. Da notare anche come nemmeno i Babilonesi abbiamo effettuato il genocidio del territorio occupato, lasciando ancora solo gli Israeliti col vezzo di massacrare tutti gli abitanti dei territori occupati, comprese donne e bambini.

In effetti Geremia non deve aver avvertito a sufficienza i Babilonesi della slealtà masochistica dei Giudei tanto da mettere, come si vede a Geremia 40: 7, un governatore locale e dare loro le massime libertà, piuttosto di militarizzare il territorio, e si vedrà nel capitolo successivo la pessima fine che farà il tale e quanti lo accompagnano, nonostante le conseguenze. Si nota in tutta questa faccenda come tanto Geremia che Yah·weh siano del tutto silenti.

Con buona pace delle promesse di Yah·weh per bocca di Geremia sulla stabilità che il popolo avrebbe conseguito se si fosse arresa ai Babilonesi, come si vede a Geremia 41: 2, i massacri intestini ricominciano subito dopo, avendo evidentemente poco gradito la famiglia reale il tradimento del popolo che si è affidato a Geremia per conto dei nemici, mettendo il re stesso nelle loro mani.

Risulta piuttosto curioso come la gente continui a interpellare Geremia, solo per sentirsi continuamente presagire di morire di spada, carestia e peste come a Geremia 42: 21-22

Risulta davvero straordinario come continuino a portarsi dietro Geremia, come si vede a Geremia 43: 6, dopo essersi convinti questi sia una spia.

Geremia si è incartato da solo a Geremia 44: 2: per convincerli a restare in Giudea e non andare in Egitto, dice loro che la Giudea è distrutta e non c'è alcun abitante. Ciò dovrebbe essere in effetti un incentivo per andarsene da Giuda il primo possibile, non a ritornare!

I Giudei potrebbero rispondere alla domanda di Giuda 44: 7 con: "Perché ci hai scacciati!". In realtà testi come questi sono alla base tanto che dell'ironia ebraica che delle loro manipolazioni. Di nuovo siamo in effetti alle prese con un esempio di ingiunzione paradossale, tanto più inevadibile, perché viene da quello che è percepito come il soprannaturale.

Quasi ironico il siparietto a Giuda 44: 12 quando si combattono la paternità dei mali caduti su Giuda tra la Regina dei Cieli e Yah·weh - nell'interpretazione per cui la regina dei cieli sia la Madonna, praticamente tra moglie e marito, o tra madre e figlio -, ma in ciò mostrano l'arbitrio e l'assurdità di attribuire la responsabilità di ciò che ci accade al soprannaturale.


A Geremia 44: 17 torna la Regina dei Cieli, assai probabilmente ‘Aš·tō·reṯ, che naturalmente i teologi travisano per la Madonna, trascurando ovviamente il contesto. Da notare la candida ammissione dei Giudei di come seguire lei portava molto più fortuna che seguire Yah·weh. E come dar loro torto?!

A Geremia 44: 30 si attribuisce l’ostilità di Yah·weh nei confronti degli Egiziani senza nemmeno sentire il bisogno di spiegare cosa questi abbiano fatto di male, né rievocare le famigerate e dubbie angherie subite nella Genesi, ma solo in chiave di punizione, altrettanto arbitraria, dei Giudei che non si sono voluti sottomettere a Babilonia. Del resto si continua a non spiegare perché i Babilonesi vengano premiati, se non interpretando gli altri popoli come marionette per proteggere o punire i Giudei in base ai comportamenti di questi ultimi, peraltro essi stessi arbitrari e uniti solo dal consenso o dissenso rispetto quanto dice Geremia, o più probabilmente come profezie ex-post per eventi già avvenuti!

Per chi nutrisse ancora dubbi, si nota a Geremia 45: 4 come il termine ‘ā·reṣ non possa significare tutto il mondo, ma solo il piccolo territorio di interesse del popolo d'Israele.

La chiosa agli eventi storici già accaduti riportati a Geremia 46: 26 è ovviamente campata in aria; non risulta infatti che i Giudei siano mai ritornati a occupare il loro territorio, se si eccettua naturalmente il ritorno di tutti gli ebrei in Palestina alla fine della seconda guerra mondiale.

A Geremia 48: 10  un tranquillo augurio di buona giornata... con la maledizione per chi non intinge la spada nel sangue. Non so se questo punto occorra ancora ricordare l’assurdità della definizione del loro Dio come buono, quando sembra questo più che altro il giuramento di un'organizzazione criminale.

La tecnica applicata a partire da Geremia 48: 10 è quella di accomunare altri popoli distrutti a quello d'Israele per avvalorare il fatto che sia stato Yah·weh a farlo, per motivi non sempre chiariti; ma del resto le vie del Signore sono ignote all'uomo, per dire che si cerca di mettere una pezza a colori quando le cose non tornano!

Assai curiosa a Geremia 48: 13 la dignità che viene attribuita a Kə·mō·wōš, non più evidentemente opera di mano d'uomo che non vede e non cammina, ma essere di cui vergognarsi come ci si è vergognati di Yah·weh! Si noti come il traduttore clericale cerchi di parare il colpo traducendo "casa di ‘êl di loro fiducia", come "Betel, loro fiducia".

A Geremia 48: 30 è Yah·weh stesso a negare la propria onniscienza, caso mai ce fosse stato il bisogno.

A Geremia 49: 31 si ripete l’ingiunzione da parte di Yah·weh, già data nel Pentateuco, di marciare contro gente pacifica e ricca, quasi sia il fatto di essere pacifici e ricchi la loro colpa; come perversi criminali odierni che entrano nelle case della gente benestante che non si sia dotata di guardiani o che si sia allontanata da casa per un ricovero. Ciò è conferma del fatto che la guerra di conquista di popoli indifesi sia stata in effetti portata sulla ‘terra’ da Yah·weh, e per suo tramite, o giustificazione, dagli Israeliti, per diventare poi pratica comune di tutte le nazioni. In questa luce va anche vista l'opera dell'elemosiniere del papa che ha riattaccato la luce a una comunità che si era appropriata di beni di altri e in genere tutte le sopraffazioni che si sono succedete nella storia sotto lo stendardo di Dio!

E finalmente a Geremia 50: 2-3 la maledizione arriva anche su Babilonia, finora risparmiata, anzi protetta. Con questo il misericordioso Geremia ha maledetto tutto il mondo antico a lui conosciuto...! Curiosamente dopo aver detto per capitoli interi che seguisse Yah·weh nel distruggere Giuda per i suoi peccati, ora le si rimprovera di seguire Bēl e Mə·rō·ḏāḵ, quasi non lo avessero sempre fatto.
Geremia 50: 8 sarebbe comico, se non fosse tragico, un poco come quei cartoni animati quando gridano, "tutti dentro", per poi sentire un orso bramire dall'interno della caverna e gridare "tutti fuori"! In effetti per tutto il resto del libro Geremia si è sperticato per convincere gli Israeliti a restare coi Caldei, e ora dice loro di andarsene al più presto.
Geremia 50: 11 è paradossale. Geremia ha fatto di tutto per demoralizzare il popolo d'Israele e farlo arrendere ai Babilonesi, tanto che questi lo hanno liberato dalle prigioni Giudee e hanno dato a lui una bustarella per il lavoro profferto, e ora imputa loro di aver distrutto la loro eredità!

A Geremia 50: 14 si dice addirittura che Babilonia abbia peccato contro Yah·weh, dopo che, secondo Geremia, è stato Yah·weh stesso a darle la forza per conquistare il popolo di Giuda.

Sullo stesso tono Geremia 50: 24: per il resto del libro Geremia si è “sperticato” per tessere le lodi a Babilonia, fino al punto di punire chi non apriva loro le porte o li abbandonava e ora, le si rimprovera di impegnarsi contro Yah·weh, tanto da sottoporli alla sequenza di castighi usuali già riservati ad altri popoli. La ovvia spiegazione alternativa è che i giudizi vengano attribuiti ex post rispetto l’effettivo risultato militare in modo da farli corrispondere all’ira di Yah·weh.

Poco dopo a Geremia 50: 25 c’è un aspetto bizzarro, se gli autori dell’Uomo d’Acciaio non fossero essi stessi ebrei e non avessero chiamato i loro eroi con l’appellativo ‘el (Kal-el, Jor-el ecc.): infatti udendo “questo è un lavoro per”, non può non venire in mente Superman!

Il verso a Geremia 50: 40 è assai interessante per due ordine di motivi. Il primo è che Yah·weh attribuisce la distruzione di Sodoma e Gomorra a... ‘ĕ·lō·hîm, la usuale traduzione con rispettivamente Signore e Dio, con l'obiettivo di identificarli, non cambia per una volta la questione. Infatti se l’ente che parla fosse lo stesso che ha distrutto le città, avrebbe usato la prima persona singolare piuttosto che un soggetto alternativo, per quanto nella traduzione farlocca ad esso identificato: sarebbe come dire che Dante ha reso noto che Alighieri abbia composto la Divina Commedia. Il secondo è il ripetersi della dicotomia tra ’îš e figli di ‘ā·ḏām, davvero qualsiasi cosa questa possa significare: il traduttore monoteista naturalmente nasconde il problema con sinonimi.

Geremia 52: 1 e il resto del capitolo si presenta al di fuori delle parole di Geremia, riassumendo gli episodi relativi alla caduta di Gerusalemme per mano dei Babilonesi, opportunamente depurati dall'appoggio agli invasori di Geremia stesso! Il brano con molte probabilità è stato aggiunto successivamente, anche fornendo il dettaglio dell’assedio di Gerusalemme, assente nel resoconto nella prima parte del libro, essendo questo essenzialmente centrato sul tradimento di Geremia. L'obbiettivo essendo probabilmente quello di giustificare a posteriori le invettive di Geremia contro i Babilonesi, mostrando i loro comportamenti abietti agli occhi della loro cultura con dovizia noiosissima di particolari, probabilmente scorrendo il Deutoronomio alla rovescia per individuare gli oggetti nella casa di Yah·weh che reputatamene si sono portati via, dopo che questi si era schierato con tutto se stesso con loro a danno del popolo di Giuda.

GÉNERO
Religión y espiritualidad
PUBLICADO
2018
5 de febrero
IDIOMA
IT
Italiano
EXTENSIÓN
160
Páginas
EDITORIAL
None
VENTAS
Fabrizio Bartolomucci
TAMAÑO
17.9
MB

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