La maligredi
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Esiste una generazione di calabresi cresciuta fra cunti, miracoli di santi e dèi. A quei tempi il furto era vergogna, il sopruso arroganza e nelle rughe di Africo insegnavano a non frequentare i peggiori. E la mafia, che c’era stata, che c’era, vedeva restringersi rancorosa il proprio spazio.
A quei tempi cresce Nicola, e con lui gli amici Filippo e Antonio, compagni di avventure. Ragazzini che vanno a scuola, o, meglio, che marinandola si avvicinano alla piccola criminalità. Ma l’arrivo improvviso di Papula, un ragazzo più grande, che lavora in Germania e torna in paese parlando di rivoluzione, solleva un vento nuovo per tutto l’Aspromonte e fa sognare gli uomini, le donne e i ragazzini. E allora a San Luca prende a pulsare la protesta operaia e Platì diviene la patria del cooperativismo contadino. È il Sessantotto aspromontano – in pochi lo conoscono, ma c’è stato. Fa nascere la speranza di fondare un mondo nuovo, di ottenere diritti: i poveri scoprono di aver bocca e idee; le donne trovano il coraggio di scioperare contro gli gnuri; i figli si rivoltano contro i padri, i fratelli contro i fratelli. E poi tutti, insieme, contro i compari.
Lo stato, invece, si mette dalla parte del potere locale, dei malandrini, di coloro che, per mantenere i propri privilegi, sono pronti ad azzannare al collo i migliori.
È così che nell’Aspromonte arriva la maligredi, ossia la brama del lupo quando entra in un recinto e, invece di mangiarsi la pecora che gli serve per sfamarsi, le scanna tutte. E, quando arriva, racconta Criaco, “la maligredi spacca i paesi, le famiglie, fa dei fratelli tanti Caini, è peggio del terremoto e le case che atterra non c’è mastro buono che sa ricostruirle”.