Orgoglio industriale
La scommessa italiana contro la crisi globale
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Per molti anni abbiamo sentito parlare di «declino dell'industria» e di «primato dei servizi», come se le uniche risorse in grado di garantire un futuro all'Italia fossero offerte dalla finanza, dall'hi-tech, dal turismo o dalla genialità di qualche stilista: un Paese di moda, banche e grand hotel. Addio fabbriche, addio «anima meccanica» che ci aveva accompagnato negli anni del boom economico. Adesso, però, nel ciclone della più profonda crisi economica internazionale del dopoguerra, ci accorgiamo con sorpresa che, nonostante tutto, il punto di forza della nostra economia resta proprio la manifattura.
Antonio Calabrò ci racconta con semplicità e chiarezza che l'Italia rimane un grande Paese industriale, il secondo d'Europa. E in un viaggio alla scoperta della parte più vitale dell'imprenditoria italiana, mette in luce dati, fatti e personaggi, spiegando come considerare con occhi nuovi un settore della nostra economia che tanto spesso è stato sottovalutato. L'industria media e medio-grande, protagonista del cosiddetto «quarto capitalismo», è un esercito di 4600 aziende all'avanguardia sul piano dell'innovazione, in grado di conquistare la leadership su tutti i mercati internazionali. Si tratta di imprese che creano occupazione e sviluppo, cardine di un tessuto produttivo diffuso di centinaia di migliaia di piccole aziende, dinamiche, spesso finanziariamente solide, aperte al mondo che cambia. Società snelle, flessibili, pronte a fare «industria su misura del cliente» come vere e proprie «sartorie» della manifattura, «multinazionali tascabili» nate e cresciute come «progetto di vita», talvolta dall'intuizione di un operaio intraprendente e geniale, e diventate nel tempo il principale motore di competitività per tutto il sistema Paese.
Rifiutando i facili ottimismi, Calabrò non perde mai di vista la grave crisi che stiamo attraversando. Ma ci mostra, in una prospettiva storica di grande respiro, che l'industria italiana è tornata d'attualità. Anzi, più esattamente, non se ne è mai andata: ha solo cambiato forma, dimensioni e stile. E sa cogliere il segno dei tempi, investendo su qualità, ricerca, sostenibilità ambientale e sociale. Un'industria già dentro il cuore della green economy. Solo puntando davvero su questa cultura del «fare, e fare bene» troveremo la strada per uscire dalla tempesta degli anni bui.